I mangiasogni

I mangiasogni

Lungo quell'isola correvano due lunghe file di palazzi, incastonati sul ciglio della strada che spaccava a metà la zona, non si notava come le costruzioni avessero preso il posto dell'ambiente naturale, la deturpazione artificiale che le civiltà solitamente lanciano sul paesaggio è schifata dal popolo che abitava questo luogo in epoche arcaiche.

Il pugno duro del Cavalier Sabino aveva già destabilizzato gli abitanti dei palazzoni a suo tempo, dagli gnomi più eruditi agli orchi meno abbienti si rifugiarono sotto le arcate di quella che sembrava una strada infinita, senza ritorno, che però si lancia nel mare cristallino come le perle della venere che diede vita ai 7 cumuli di roccia che si innalzano su questo sacro Tirreno macchiato dall'ingordigia degli uomini, o bestie, che ne controllano i porti.

Ieri ha attraccato una nuova nave al porto del Cavo, possiede un'eleganza e una elevatezza tecnica da far invidia ai migliori progettisti e navigatori del nostro mondo, la notizia si sparge velocemente per tutta l'isola, soprattutto lungo quella via che la apre a metà come si fa con la gola di una spia, stranisce molto la presenza di una nave così tanto bella in una zona abitata quasi unicamente da Cavesi, uomini-rettile abituati al distaccamento sociale, a una vita composta quasi unicamente da lacrime e solitudine annegata nei fumi sprigionati dal Lago delle Conche, imbottigliati e venduti in serie nei peggiori cunicoli della grande via, così la chiamano gli uomini del Cavo.

Da quella nave è scesa Maria, la più bella Fanciulla che quella zona dell'isola ha visto passare sul proprio suolo da almeno 4.000 anni, i boccoli colore del bronzo le cadevano morbidi sulle gote arrossate dal fresco vento che soffiava in quei giorni, calavano fin sotto le spalle gentili, smussate da un liutaio che lavora senz'altro sull'Olimpo a creare dei banchetti.

Nell'esatto momento in cui Maria lasciò il ponte Lorenzo sentì una morsa al petto, poi un vuoto nello stomaco e infine Il suo sguardo si paralizzò sugli occhi di Maria: glaciali...

Impossibile per lui quantificare il tempo per il quale l'ha guardata, un attimo? Un minuto? Gli pareva un secolo, In qualsiasi caso è stato abbastanza da far arroventare suo padre che lo colpì sulla testa, come a volergli far rientrare a forza la lucidità che stava scappando dalle orecchie, il colpo lo fece tentennare come una moneta fatta girare sul tavolo che fa gli ultimi giri prima di cadere, ma a cadere fu il boccione pieno di Acqua delle Conche che teneva tra le mani pronto a essere caricato sul carro che lo avrebbe trasportato assieme ad altri 49 uguali verso ovest, in terre più civilizzate e umane ma con lo stesso scopo.

Lorenzo incurante delle moine del padre osserva il ponte di quella nave, ricerca ancora quella figura angelica ma non ne scruta traccia alcuna. Si sente pronto a strapparsi i vestiti, a cavarsi gli occhi, a gettarsi a terra e piangere, vedendo passare un Cavese ha pure pensato di gridargli offese contro la madre sapendo che la reazione sarebbe stata una diretta artigliata sulla giugulare ma la ragione in qualche modo si è fatta strada tra l'intrusività di questi pensieri.

La nave era ancora là e Maria su di essa.

Lorenzo ha caricato l'ultima botte di quel succo inebriante sul carro a tre ruote dell'attività di suo padre, è un vecchio carro di legno impiegato in trasporti definibili lontani dalla retta via da 3 generazioni, suo nonno, primo possessore sull'isola, lo trovò davanti le porte di una taverna esterna alla strada magna ma non molto lontana, probabilmente si trattava di un punto di ritrovo dei commercianti del nord appena sbarcati al Porto di Ferro con direzione la strada principale con il piano di percorrerla verso est o ovest per la vendita di prodotti da terre estere; trovando molto divertente il fatto che fosse trainato da scarabei disposti sulla strada, legati tra loro da una cordicella sottile, quasi invisibile, che si riunisce poi filo per filo intrecciandosi come l'arazzo di Penelope, uno vicino all'altro dovevano incutere timore alla gente che passava di lì, e in effetti il rumore stridente degli animaletti spaventava le persone che accortesi del rumore e individuata la provenienza si giravano osservando questa massa informe colorata come legno marcio e malaticcio. Nonno Flavio riusciva a percepire l'assurdità e la simpatia nell'azione del proprietario di addestrare degli insetti, una mole così ampia di insetti, per guidare un carretto a tre ruote con una cabinetta chiusa per sedersi e un cassone ribaltabile e alzabile attraverso una leva posta sul lato del mezzo.

Flavio si diresse verso l'entrata del locale con l'intento di capire chi fosse il proprietario, spinto dalla voglia di conoscere una mente così interessante ma a volte gli alcolici in circolo sono più forti del raziocinio umano e passando davanti al carro parcheggiato proprio all'entrata della locanda, guardando quegli insettucoli che con occhi a lui dolci risuonarono lo strillo, Flavio sentì la sua anima conquistata da una musica celestiale, assolutamente divina.

Incapace di resistere si arrestò a pochi metri dalle porticine di ferro poste all'entrata del locale, il profumo del buon vino non lo attirò minimamente.

Camminava con le mani già pronte ad afferrare le cinghie, persino non avendo mai capitanato un branco di scarabei sentì un'energia nelle sue mani, in corrispondenza di dove teneva le cinghie, protrarsi nelle braccia irradiando il petto e la testa, e fu capace di portare il Carro con sé fino a casa in cima al Petricaio senza fare del male a se stesso e ai nuovi amici.

Il Carro passato dalle mani di un ubriacone montanaro dedito alla vendita di frutta, verdura, armi e dolci a quelle di uno scorbutico contrabbandiere di droga mostra chiari segni di cedimento e riparazioni di fortuna: fori perfettamente tondi sul cassone rattoppati con tappi di sughero, uno squarcio sul tettuccio coperto da un telo bianco a pois rosa, una rientranza nella porta anteriore destra tappata con il manifesto di uno spettacolo di magia nera.

Nonostante le condizioni comunque Lorenzo e il Padre non avevano problemi a fidarsi del carro, soprattutto perché dal lato ingegneristico non erano a conoscenza di alcun problema.

Sono state però le ruote, mostratisi da sempre in condizioni quasi perfette, a tradire i due partiti dal Cavo in direzione delle terre di vendita, la ruota frontale iniziando ad allentarsi fece traballare tutta la carrozza generando un movimento ondulatorio simile a quello delle navi sul mare grosso che spaventò non poco Lorenzo e il padre, probabilmente per la strada che si lancia a strapiombo verso il mare: una caduta del genere non li avrebbe lasciati sicuramente illesi.

La ruota rotolò via trascurando di strafottenza il destino del resto del carro e dei suoi proprietari, ora l’unica cosa a sostenere il carro sono un ristretto gruppo di scarabei che repentinamente si misero al posto della ruota pirata formando un cubo vivente uno sopra l’altro con i più in basso a zampettare verso la salvezza; Lorenzo e il padre avendo come ultimo ricordo la ruota che scappa prima di essersi tappati gli occhi urlando con l’immagine dei loro corpi tumefatti sul fondo del burrone già stampata in testa non conoscevano in realtà la capacità simbiotica degli insetti di comprendere se il carro avesse qualcosa che non va e di agire di conseguenza.

Lorenzo probabilmente per la giovane età e la perspicacia si accorse che la morte non aveva deciso, per ora, di incombere sulla sua vita e ancora gesticolando di paura strattonò le redini degli scarabei bloccando il carro in pochi secondi sul ciglio della via a pochi centimetri dalla rovinosa caduta.

Suo padre stava scatenando l’urlo di una dama in pericolo misto al pianto di un bambino sperduto, anche da fermo non riusciva a smettere di divincolarsi come attaccato dai peggiori incubi, Lorenzo si fece male alla gola dato che per farsi sentire dovette urlare più forte di lui ma riuscì fortunatamente a tranquillizzarlo. Calmandosi lentamente smise prima di muoversi come un pesce gettato sulla spiaggia poi con un gesto sconclusionato delle mani fece per allontanare quelle di suo figlio che tentavano di rassicurarlo, facendo come se nulla fosse, ancora con il fiatone e i lacrimoni, si gettò giù dal carro chinandosi per capire cosa potesse essere successo, chiedendosi come potessero essere ancora vivi, si accorse del pilastro di coleotteri ma ne rimase meno colpito di suo figlio, conoscendo già alcune altre particolari caratteristiche degli insetti.

I due si guardarono in silenzio un attimo: era quasi uno sguardo di compiacimento nei confronti della fortuna che gli si era volta contro ma il momento venne spezzato di netto dal rumore delle zampette degli Scarabei, in qualche modo il trauma subito dalla ruota e dal mezzo in generale aveva spezzato il sottile filo posto a collegare tra loro e al carro tutti gli insetti che per quanto potessero sembrare legati “emotivamente” al carro e alla famiglia non aspettavano altro che l’occasione di liberarsi dal sortilegio e dileguarsi come un unico corpo e un unico spirito nella macchia occidentale dell’isola vivendo nella maniera più degna possibile.

Lorenzo vide ogni secondo di quella fuga senza muovere un singolo muscolo, senza sbattere una palpebra e senza emettere alcun suono, stava lì fisso immobile con gli occhi puntati là dove si sarebbero dovuti trovare gli scarabei incredulo e affranto consapevole di non avere più nessun mezzo per spostarsi e trasportare un carico ad altissimo rischio.

Purtroppo non tutti gli scarabei se n’erano ancora andati, mancavano quelli al di sotto della ruota che andandosene chiamati dai compagni lasciarono un vuoto nello spazio della ruota, fecero ribaltare il carro prima in avanti e poi su un lato, inutile precisare che cadde nel nulla lasciando qualche secondo di silenzio prima che si avvertisse un suono di legno e ferro smaciullarsi contro le rocce e scivolare in mare assieme al prezioso carico.

Ormai l’incredulo silenzio aveva attaccato anche il padre di Lorenzo che con sdegno si tirò su le maniche come in preparazione per fare qualcosa di laborioso ma si diresse semplicemente su un tronco vicino per sedervisi e contemplare l’amarezza dell’esistere terreno.

Fu quando Lorenzo iniziò a entrare in sintonia con il pensiero di ripetere le gesta del carro e scendere negli abissi dell’Ade che vide sull'orizzonte passare un veliero: un galeone imponente, munito di rifiniture d’oro sui bordi e alle finestre, vele viola con sottili bordi neri si vedevano gonfiate dal vento, sulla cima dell’albero una ragazza ammirava la terra davanti a sé notando i resti di un carro sopra degli scogli e una particolare ombra nera aggirarsi nei dintorni della scena e immediatamente spinta dalla curiosità e dall’impulsività che solo poche persone hanno, diede ordine di attraccare al molo di Cala Seregola.

Lorenzo guardava ancora il galeone con sguardo attonito intanto che suo padre piangeva singhiozzando sul ceppo, fu il cambio di rotta della nave che lo fece scampare alla dissociazione totale: il movimento l'aveva riportato con i piedi per terra, i piedi che ora puntavano insieme a tutto il resto del suo corpo verso l'imbarcazione così gli occhi brillarono ancora e la posa di sconforto che teneva prima si trasformò nella grandissima euforia che aveva appena provato al Cavo vedendo la stessa nave con sopra quella ragazza stupenda.

In un attimo si riunirono i pezzi nella e della sua mente, immaginò che il Galeone stesse girando per attraccare al porto più vicino, da lì a Cala Seregola non era tanto tempo a piedi e in qualsiasi caso se avessero attraccato a quell'ora del pomeriggio non sarebbero mai ripartiti prima del giorno seguente quindi andò dal padre per chiedergli come stesse e avvertirlo della sua volontà di correre verso la spiaggia ma il Babbo non stava affatto bene, gli occhi miravano un punto del terreno precisissimo e mai ci si staccavano mentre le braccia poggiate sulle gambe lasciavano le mani a penzoloni come esche all'amo quand'è tirato su.

Il povero Lorenzo parlava al padre con tutti i toni di voce e le posizioni che gli venissero in mente ma non c'era niente da fare lo stato di trance era troppo intenso da scardinare, il carico su quel carro avrebbe sancito l'inizio della sua pensione e in più il potenziale acquirente di quei boccioni era un peculiare amico di famiglia alla quale venne data la parola riguardo la sicurezza della consegna, la boccia caduta a Lorenzo era facilmente rimpiazzabile ma 49 boccioni sarebbero stati troppi da rimediare in una volta sola per la seconda volta in un giorno: il babbo di Lorenzo sapeva bene che non era il caso di sgarrare, non in quel momento, non di nuovo in quanto le conseguenze sarebbero state terribili.

Lorenzo ovviamente ignaro di tutta questa faccenda, frutto unicamente degli affari doppiamente loschi del padre, capì che c’era poco da fare e lo lasciò lì con un sigaro, dei fiammiferi e la promessa che sarebbe ritornato prima dell’alba.

La nave stava intanto ormeggiando nel mentre che Lorenzo scendeva per la Cala, scaldato dall’alta probabilità di incontrare ancora quello sguardo di ghiaccio. Lasciava le orme sulla terra rossastra che si innalzava ad ogni passo lanciando in aria una sottile polvere ferrosa che lo accompagnò fino al molo, arrivando direttamente sotto il Galeone che da così vicino sembrava ancora più maestoso: una sovrastruttura di poppa altissima ornata con statue lignee placcate in oro di demonietti che facevano corna con le mani e linguacce muniti di grossi anelli al naso e alle orecchie, di lato 45 metri di cannoni incastonati come i tappi di sughero nel cassone.

Intanto Maria scese a terra per andare nella zona del suo avvistamento, ma superando il molo trovò alla sua sinistra questo ragazzo con il busto e la testa tirati all’indietro e la bocca e gli occhi sbarrati. Lorenzo ammirava quello spettacolo di ingegneria e arte navale incapace pure di accorgersi della sua presenza. “Cosa stai facendo?” Maria non si faceva troppi scrupoli a parlare e fare domande alle persone, Lorenzo fece uno scatto di gambe come per cadere a terra ma si tenne su per un soffio spostando la sua attenzione dal Galeone alla Galeotta, e la guardò con lo sguardo più timido e confuso che avesse mai fatto. “Che ci fai qui?” Maria ancora una volta dava prova di un basso interesse verso lo stato d’animo delle persone a cui parlava, mettendo in primo piano la sua curiosità innata, ma anche una persona scarsamente empatica come lei avrebbe capito che il ragazzo non è un tipo di tante parole, immaginò che si trattasse probabilmente di un giovane timido pescatore ammaliato dalla superbia della sua nave e continuò a camminare verso uno stradellino parallelo a quello da cui scese Lorenzo che chiaramente rimase lì impalato a guardarla andarsene. Maria poco prima di sparire tra le piante si fermò di getto girandosi verso il giovane pescatore incuriosita dal fatto che non lo avesse sentito muoversi e in effetti stava ancora immobile a guardare un po' lei e un po' la nave, forse anche lui era molto curioso.

Maria tornò indietro camminando dritta verso il ragazzo arrestandosi a forse due metri da lui. “Hai qualcosa che non mi torna, sali con me.” Lorenzo venne preso per mano diventando rosso come il ferro e portato sulla nave da Maria si fece trasportare guardandosi intorno come fanno le anime appena traghettate da Caronte nella loro nuova realtà, quella nave per Lorenzo era un mondo a parte: libri ovunque, candelabri con fiamme blu e candele di cera nera riempivano la stanza del capitano, tantissime gabbiette con delle creature che Lorenzo non aveva mai visto in vita sua stavano ovunque, appese alle pareti, al soffitto, poggiate per terra e su pile di libri polverosi. "Zio, questo ragazzo puzza." Lorenzo esternò per la prima volta uno stato d'animo che non fosse la confusione spiegando che il suo odore è dovuto al suo lavoro e non può farci niente ma lo Zio, un ometto gracilino con una lunga barbetta bianca sul mento, si avvicinò a Lorenzo tirando una sniffata profonda a occhi chiusi bloccando il respiro alla fine dell'inspirazione, poi espirò lentamente col naso e aprì gli occhi spalancandoli. "Puzza, tanto." Lorenzo tornò al suo stato di confusione e chiese solamente di che cosa puzzasse, così lo Zio iniziò ad indicare una gabbia appesa esattamente di fronte a lui che conteneva un essere con il corpo come se fosse ricavato da un giornale appallottolato e la testa di vetro con una farfalla viva intrappolata dentro. "Ti capita mai di vedere di sfuggita, con la coda dell'occhio, delle ombre che si muovono nel paesaggio? E proprio quando ti giri per vederle PAM e spariscono come se nulla fosse, quindi ti convinci che è solo la tua immaginazione che gioca brutti scherzi ma caro mio ti posso assicurare che non lo è, sono mostri che abitano la terra da migliaia di anni e vivono e si alimentano nutrendosi dei nostri sogni, le nostre aspirazioni. La notte entrano nella nostra testa e ci usurpano da ciò che ci rende umani e felici. Il nostro intento è catturare tutte queste creature e dall'odore pare che tu ne abbia avuta una molto vicina."

Lorenzo non seppe bene cosa dire, sembrava una situazione surreale ed era tutto successo con una semplicità disarmante, si limitò ad annuire e continuò a osservare le altre creature in gabbia: c'erano due gattini con la coda senza peli né carne costituita solo da osso, un orso polare delle dimensioni di un coniglietto nano, 2 silhouette completamente verdi senza tratti somatici a forma di scimmia e altre creature strampalate difficili da descrivere senza inventare nuovi termini o colori.

"Perché hai addosso il loro odore?" Maria urlò adirata contro Lorenzo. "Stavamo passando qua davanti e ho visto un'ombra muoversi tra le frasche, poi tu ti presenti qui e hai proprio l'odore di un'ombra, chi sei? Maledetto!" Maria brandiva un coltello con una lama leggermente ricurva fatto apposta per strappare il cuore a quei mostri mangiasogni, lo Zio non si mostrò troppo toccato dalla reazione di Maria tanto che la interrompe con uno sguardo. "Con un odore così intenso devi sicuramente aver avuto la creatura abbastanza vicina per una quantità di tempo molto lunga, se non ci hai mai fatto caso è normale, sono creature con abilità di mimesi surreali, percepiscono esattamente dove stai guardando e dove andrà il tuo prossimo sguardo, facendo così sanno sempre come muoversi per non essere viste, potresti portarci nel posto da dove sei venuto probabilmente sarà lì."

I due si lanciarono un'occhiata che Lorenzo purtroppo non vide.

Partirono tutti e tre ripetendo la strada che precedentemente aveva fatto Maria per andarsene continuando fino allo stradello dello strapiombo, a quel punto Lorenzo si fermò facendo capire che si trattava del posto giusto, i tre stettero in completo silenzio per un attimo prima di avvertire un leggero fruscio tra le foglie che li mise subito in guardia ma che ignorarono in seguito non essendosi più ripetuto. "Vai." Maria faceva cenno a Lorenzo di proseguire, camminò fino a vedere il padre in lontananza ancora su quel ceppo ma sembrava strano, più strano di prima, Lorenzo andò più veloce, il dorso era piegato, la testa era quasi in mezzo alle ginocchia, Lorenzo aggrottò le sopracciglia, le braccia gli stavano stese lungo le gambe e quasi toccavano terra, Lorenzo allungò ancora il passo, suo padre teneva le mani mezze chiuse e mezze aperte ancora più a penzoloni di prima, Lorenzo si mise a correre "BABBO! BABBO!" Si avvicinò a suo padre urlando e quando fu abbastanza vicino si fermò con una scivolata e inginocchiatosi davanti a lui gli vide gli occhi ancora spalancati su quel precisissimo punto, gli occhi non andavano per niente bene avevano qualcosa di mancante secondo Lorenzo, che guardò per terra in cerca di qualcosa e vide una goccia rossa cadergli sul piede, un'altra, un'altra e ancora un'altra goccia, stette a fissare sei o sette gocce cadergli sull'alluce prima di alzare lentamente lo sguardo, quasi a voler ritardare l'inevitabile, e quando lo sguardo incrociò il viso di suo padre vide qualcosa di strano sulla fronte, piegandosi leggermente in avanti poteva perfettamente vedere la chioma di un albero da un buco nel cranio del suo Babbo.

Probabilmente era passata da troppo l'ora della consegna.

"BASTARDI! SIETE STATI VOI!" Lorenzo non aveva più un briciolo di ragione, neanche un millesimo. "VOI LO AVETE AMMAZZATO BASTARDI." Non c'era modo in cui avrebbero mai potuto fare una cosa del genere ma ormai Lorenzo era un tutt'uno con i suoi sentimenti e iniziò a incamminarsi verso i cacciatori di ombre. "PERCHÉ AVETE AMMAZZATO MIO PADRE? PERCHÉ LO AVETE FATTO?" Lorenzo mischiò l'urlo alle lacrime e le foglie tutte intorno iniziarono a muoversi come colpite da raffiche di vento fortissime. "AVETE UCCISO IL MIO BABBO, GLI AVETE APERTO LA TESTA PER RUBARGLI I SOGNI, SIETE VOI I MOSTRI MALEDETTI STRONZI". Lorenzo era pericolosamente vicino ai due che indietreggiarono spaventati dal suo sguardo spiritato ma le foglie e le frasche iniziarono ad agitarsi anche più delle sue urla anzi sembravano agitate proprio da quelle, Lorenzo alzò le braccia in aria urlando bestemmie e malefici contro i due che stavano iniziando già a correre dalla parte opposta ma dal bosco un marasma di Scarabei si fiondò sulla strada investendo i due impossibilitati a scappare. Rimasero intrappolati tra gli animali che iniziarono a mangiarli dai piedi, in due secondi erano già arrivati alle ginocchia, Lo Zio provò a usare il fuoco per difendersi ma finì solo per bruciarsi il pizzetto, in quattro secondi avevano mangiato le gambe, Maria stava per riuscire a divincolarsi con dei movimenti a dir poco atletici ma con le gambe completamente mangiate è difficile scappare, in dieci secondi i due erano solo ossa.

La strada si svuotò dagli Insetti, Lorenzo giaceva a terra privo di sensi mentre una pioggerella rossa iniziava a cadere sul terreno già umido e sporco di sangue.

Mahdi Fneich

Istituto Comprensivo Raffaello Foresi, Portoferraio